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sabato 7 aprile 2012

DALLA RUSSIA ZARISTA ALL'AMERICA OPERAIA, TORNA IL ROMANZO STORICO

Recensione di Francesco Romanetti tratta da Il Mattino del 5 aprile 2012
A raccontarli cinquant’anni di storia sociale, di rivoluzioni,di lotta di classe e di guerre, si rivelano pieni di fatti, di eroi, di protagonisti riconoscibili e di masse senza volto. Soprattutto se il tempo narrato è quello che va da gli ultimi decenni dell’Ottocento al 1936, l’anno d’inizio della guerra civile in Spagna. E se i luoghi e le vicende che si incontrano cominciano nella Russia zarista per concludersi nell’America dei gangster, passando per Lenin ei soviet, il Messico di Zapata, le rivolte in Irlanda, la Prima Guerra Mondiale, il crollo del ’29.È questa storia che fa da sfondo all’intenso romanzo, di Filippo Manganaro, Un sogno chiamato rivoluzione (pagg.268, euro 16), pubblicato dalla giovane e intraprendente casa editrice Nova Delphi. Un libro doppiamente ambizioso. In primo luogo, perché l’autore si cimenta con un genere desueto quanto esigente: quello del romanzo storico (cosa che già di per sé farà storcere il naso a piùd’uno). In secondo luogo, perché su quattro parole che compongono il titolo, due - sogno e rivoluzione - sono decisamente impegnative(e tali da far allargare la categoria degli «storcitori» di naso). A chi, come a chi scrive, il naso è rimasto al suo posto, non resta che spiegarne i motivi. Tutto comincia con il racconto di un pogrom anti-ebraico. L’anno è il 1903 e la città è Kishinev, allora parte dell’impero zarista. Il quartiere ebraico viene assaltato da folle inferocite e istigate da una propaganda velenosa. Massacri, atrocità, stupri. È qui che si incontrano due dei principali protagonisti del romanzo: il vecchio tipografo Shlomo Weizman e sua nipote Chaya. Lui è un uomo leale, saggio, tutto d’un pezzo, animato da ideali di uguaglianza, figlio di un secolo al tramonto. Lei, vittima di una bestiale violenza di gruppo durante il pogrom, imparerà sulla propria pelle a percorrere la strada dell’emancipazione, che passa attraverso un’instancabile lotta: come sposa, vedova, madre, sarta, operaia tessile, sindacalista. Dentro il romanzo ci sono i drammi, le utopie, le conquiste, come dire: i sogni e le rivoluzioni,appunto- che hanno costellato le vicende delle classi lavoratrici nei secoli scorsi. E così nonno e nipote, per sfuggire alle persecuzioni, vanno in America. Emigranti. Il socialista rivoluzionario Shlomo è incuriosito e attratto dal «diritto alla ricerca della felicità», che Thomas Jefferson ha fatto inserire nella Costituzione di quel Paese. Un Paese, però,che si rivela pieno di contraddizioni. È in America,nei quartieri operai di New York, nel Lower East Side e poi nella cittadina tessile di Lawrence, che si svolge gran parte della storia narrata. I personaggi del romanzo agiscono da protagonisti durante la nascita del sindacato indipenden-te, le lotte organizzate da socialisti,anarchici, immigrati irlandesi,ebrei, italiani. Si raccontaperfino della nascita spontanea (lo sapevate?) di alcuni soviet nell’America negli anni Venti. Un pregio del romanzo sta nel rigore della ricostruzione storica: ogni volantino citato, ogni titolo di giornale, episodio, sciopero, ai quali si fa riferimento sono«veri» e tratti da una mole enorme di documentazione, citata in appendice da Manganaro (che nona caso è anche autore di una storia del movimento operaio americano, intitolata Senza patto né legge). Realisticamente ben costruito, il libro risulta un romanzo storico a tutto tondo, che si snoda lungo una trama articolata con abilità narrativa. Se alcuni dialoghi tra i personaggi appaiono francamente troppo lunghi e didascalici e certi temi sono trattati con una coscienza che sembra fuori contesto e «pre-datata»(come quando si parla dell’amore lesbico tra Annie e Lilliam), l’autore riesce tuttavia a raccontare la sua storia con passione (e appassionando il lettore, che è quello che conta). E allora, bentornato romanzo storico

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