Recensione di Simone Palliaga al volume "Racconti fatali" apparsa su Libero del 12 gennaio 2013.
In un afoso pomeriggio di febbraio del 1938, un uomo prende la
lancia per raggiungere il rifugio Tropezón, prossimo alla foce del
canale sull’Arias de las Palmas Paraná, nei pressi di Buenos
Aires. Con sé porta una valigetta e uno strano pacchetto avvolto in
carta di giornale. Solo pochi istanti e, appena sbarcato, il 64enne
Leopoldo Lugones, uno dei padri delle lettere argentine, ingurgiterà
una fatale mistura di whiskey e arsenico. Morte misteriosa e per anni
inspiegabile, dovuta a disincanto politico o a delusione d’amore.
Così abituati ad associare al Paese del tango solo scrittori come
Jorge Luis Borges e Adolfo Bioy Cesares, ci siamo dimenticati questo
altro gigante, che per l’Omero del Río de la Plata «compendia da
solo tutto il corso della letteratura argentina, perché nella sua
persona e nella sua opera si ritrovano i nostri ieri, e l’oggi, e
forse il domani». Lugones stesso, di questa storia, vuole farsi
erede. Quando traccia il canone delle lettere del Cono del Sur,
piazzando agli esordi Domingo Sarmiento col suo Facundo e José
Hérnandez con Martín Fierro, lo fa perché alla fine di quel
percorso c’è la sua stessa opera, il cui scopo non è lo svago ma
permettere all’Argentina di custodire e preservare la propria
identità e la propria storia. La figura di Lugones finora non ha
incontrato grande fortuna in Italia. Adesso però, grazie alla casa
editrice Nova Delphi, disponiamo di una sua opera tradotta per la
prima volta. Si tratta della raccolta Racconti fatali ( pp. 164, euro
9) che richiama nello stile, sebbene non nell’ispirazione, proprio
i labirintici e misteriosi intrecci che caratterizzano la narrativa
di Borges. Maledizioni egizie e profumi fatali, donne conturbanti e
specchi magici, la setta degli Assassini e il Vecchio della Montagna
si intrecciano in questa silloge che, malgrado i richiami esotici, è
figlia di quella Argentinidad che secondo William Hudson prorompe
quando i gauchos seduti intorno al fuoco si raccontano «cose
straordinarie, apparizioni e avventure prodigiose». E proprio nella
figura del gaucho, orgoglioso della propria indipendenza, Lugones
vede uno dei tratti distintivi degli argentini, facendone il bandito
protagonista dell’ultima novella di Racconti fatali. Nazario Lucero
ha certo le caratteristiche del mandriano, anche se per campare si
pone alla testa di un gruppo di malviventi. Fuorilegge ma gentiluomo,
nel corso di una delle sue scorrerie si invaghisce di una fanciulla
che poi rapirà per trascinarla nel suo rifugio tra le montagne.
Accudita e rispettata, la donna non potrà però abbandonare quella
prigione dorata. Nel momento in cui il fratello la ritrova, Lucero
non oppone alcuna resistenza per evitare di ferire quanto è caro
alla sua amata. E sarà proprio per questa dedizione totale, che
ricorda le vicende dei trovatori europei divorati da Lugones come da
Borges, che lei sceglierà di rimanere con il bandito. Nell’agire
di Lucero come in quello della donna traspaiono l’amore per la
lotta e la lotta per l’amore, il senso dell’onore e di fedeltà,
di istinto di indipendenza e di lealtà che caratterizzano i gauchos
come gli argentini. L’opera di Lugones intende caricarsi di una
valenza politica “nazionale” per cementare l’indipendenza
argentina. Secondo Abel Posse, autore del commovente La passione
secondo Eva, Lugones pone al centro dei suoi ultimi lavori la
«questione della spada» fino a esserne, come poi accadrà a
Mishima, ossessionato. Nel 1924, a Lima, durante la commemorazione
del centenario della battaglia di Ayacucho, annuncia «l’ora della
spada» e ricorda che «ogni uomo nasce soldato».
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