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mercoledì 25 settembre 2013

ANACONDA

Recensione di Nadia Angelucci ad Anaconda di Horacio Quiroga apparsa su Le Monde diplomatique di settembre

Una barba antica incornicia il bellissimo volto, moderno, da cui emerge uno sguardo febbrile e distante. Il ritratto di Horacio Quiroga, autore uruguaiano dalla vita tormentata e breve, si mostra nelle pagine di Anaconda, volume stampato dalla Nova Delphi che raccoglie due racconti dello scrittore della selva, Anaconda del 1921 e Il ritorno di Anaconda del 1925 – metafore del rapporto tra uomo e ambiente -, e Il decalogo del perfetto scrittore di racconti pubblicato per la prima volta nel 1927 sulla rivista argentina “Hogar”. Basterebbe quel viso tormentato ed essenziale a raccontare una vita maledetta e fatale, segnata dalla morte, che si presenta con implacabile puntualità a segnare la vita del novellista: ha due mesi quando il padre viene ucciso in una battuta di caccia; il suo patrigno si suicida quando è adolescente; nel 1901 due dei suoi fratelli muoiono di tifo; quell’anno, mentre lui stesso pulisce un’arma, un proiettile viene sparato e provoca la morte di uno dei suoi amici; poi vengono il suicidio della sua prima moglie e del suo collega e amico, Leopoldo Lugones; i tre figli di Quiroga si toglieranno la vita dopo la morte dello scrittore. Lui stesso, di fronte alla prospettiva di un male incurabile, si uccide con il cianuro nel 1937 a 59 anni. Il senso del tragico fa forse parte della sua natura e la disgrazia che lo perseguita non è straordinaria ma la quotidianità che si combina nella sconfinata passione per la letteratura. Il demone della scrittura è dunque ciò che lo tormenta e la letteratura è tragedia perché vita. La sua decisione di esplorare e vivere nella selva di Misiones, luogo inospitale dove si deve combattere per vivere e dove dunque la scrittura non può avere un peso predominante, sono forse il suo estremo rimedio per sfuggire alla sciagura, alla morte. Un tentativo di essere un uomo comune per sottrarsi a un destino fatale. Ma i demoni, si sa, sono più forti e il ritorno al “primitivo” genererà nuova materia letteraria, fantastica e sinistra, dove uomini e animali condividono il dolore della vita in un mondo lontano dal romanticismo sognato da Quiroga, che si rivela invece lotta e sopraffazione. Questo accade in Anaconda in cui si ribalta il consueto dualismo che accosta l’uomo alla razionalità e la natura all’impulso. E così i serpenti difendono l’ambiente dall’insensata distruzione portata dagli uomini e Anaconda, braccata dagli uomini e colpiti a morte, proteggerò fino all’ultimo respiro le sue uova, garanzia di futuro. Un futuro che comunque Quiroga vede sempre segnato dall’inesorabilità: “Deve essere ora di dormire – mormorò Anaconda. E pensando di poggiare delicatamente la testa sulle sue uova, le schiacciò contro il suolo nel sogno finale.”

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