Una
barba antica incornicia il bellissimo volto, moderno, da cui emerge
uno sguardo febbrile e distante. Il ritratto di Horacio Quiroga,
autore uruguaiano dalla vita tormentata e breve, si mostra nelle
pagine di Anaconda, volume stampato dalla Nova Delphi che raccoglie
due racconti dello scrittore della selva, Anaconda
del 1921 e Il
ritorno di Anaconda
del 1925 – metafore del rapporto tra uomo e ambiente -, e Il
decalogo del perfetto scrittore di racconti
pubblicato per la prima volta nel 1927 sulla rivista argentina
“Hogar”. Basterebbe quel viso tormentato ed essenziale a
raccontare una vita maledetta e fatale, segnata dalla morte, che si
presenta con implacabile puntualità a segnare la vita del
novellista: ha due mesi quando il padre viene ucciso in una battuta
di caccia; il suo patrigno si suicida quando è adolescente; nel 1901
due dei suoi fratelli muoiono di tifo; quell’anno, mentre lui
stesso pulisce un’arma, un proiettile viene sparato e provoca la
morte di uno dei suoi amici; poi vengono il suicidio della sua prima
moglie e del suo collega e amico, Leopoldo Lugones; i tre figli di
Quiroga si toglieranno la vita dopo la morte dello scrittore. Lui
stesso, di fronte alla prospettiva di un male incurabile, si uccide
con il cianuro nel 1937 a 59 anni. Il senso del tragico fa forse
parte della sua natura e la disgrazia che lo perseguita non è
straordinaria ma la quotidianità che si combina nella sconfinata
passione per la letteratura. Il demone della scrittura è dunque ciò
che lo tormenta e la letteratura è tragedia perché vita. La sua
decisione di esplorare e vivere nella selva di Misiones, luogo
inospitale dove si deve combattere per vivere e dove dunque la
scrittura non può avere un peso predominante, sono forse il suo
estremo rimedio per sfuggire alla sciagura, alla morte. Un tentativo
di essere un uomo comune per sottrarsi a un destino fatale. Ma i
demoni, si sa, sono più forti e il ritorno al “primitivo”
genererà nuova materia letteraria, fantastica e sinistra, dove
uomini e animali condividono il dolore della vita in un mondo lontano
dal romanticismo sognato da Quiroga, che si rivela invece lotta e
sopraffazione. Questo accade in Anaconda in cui si ribalta il
consueto dualismo che accosta l’uomo alla razionalità e la natura
all’impulso. E così i serpenti difendono l’ambiente
dall’insensata distruzione portata dagli uomini e Anaconda,
braccata dagli uomini e colpiti a morte, proteggerò fino all’ultimo
respiro le sue uova, garanzia di futuro. Un futuro che comunque
Quiroga vede sempre segnato dall’inesorabilità: “Deve essere ora
di dormire – mormorò Anaconda. E pensando di poggiare
delicatamente la testa sulle sue uova, le schiacciò contro il suolo
nel sogno finale.”
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