Dalla prefazione del critico letterario Dario Pontuale al volume
 
Con il lavoro Pier
Paolo Pasolini. Un giorno nei secoli tornerà aprile, Luciana Capitolo concentra il proprio sguardo analitico
sulla poliedrica figura di uno
dei personaggi più controversi del Novecento italiano, indagando lo stretto
rapporto intercorso tra lo scrittore e uno dei quartieri che maggiormente ne
influenzarono il pensiero, lo storico quartiere romano di Monterverde.
Sarebbe svilente ricondurre la figura di Pier
Paolo Pasolini limitatamente a quegli epitaffi appesi in strada sotto lo
sguardo distratto dei passanti, ma è appropriato delimitare il campo di
indagine, scegliere i punti di avvio. Dentro quella manciata di strade scalcinate
l’anima dello scrittore, giornalista, traduttore, regista, poeta, saggista passeggia
e si perde confusa tra le chiazze verdi che i fucili garibaldini hanno difeso fino
allo strenuo. Tra i saliscendi e le mura antiche, tra i tratturi e le baracche,
oltre i fossi e i palazzi in costruzione, medita nuove idee, si compenetra nei cambiamenti
e nei contrasti sottesi della società. Da lassù scrive e polemizza; osserva sé
stesso e gli altri, difende sé stesso dagli altri: cattolici, studenti,
giornalisti, benpensanti, politici di destra, sinistra e centro. Il suo occhio
cade sulle fenditure del quartiere, sugli sfregi della vita, sulle sfortune piombate
alle spalle, sugli aridi destini disseccati dal Neocapitalismo. Pasolini guarda
Roma dall’alto, oltrepassa certi confini, entra in nuove borgate, abbraccia la
città, il Paese intero. Alloggia accanto al poeta Giorgio Caproni, abita qualche
porta più sotto della famiglia Bertolucci, vicino ad Attilio il poeta e Bernardo,
figlio e futuro regista. È arrivato nell’Urbe nel 1950 con addosso gli
strascichi della guerra, la lotta di Resistenza e la perdita del fratello Guido.
Ha solamente ventotto anni, ma già porta i segni del veterano. Sbarca nella
città dei santissimi Pietro e Paolo dormendo in stanzette ammobiliate ed arrabattandosi
come correttore di bozze prima e insegnante di scuola media poi. Affiancato
dall’ormai consumata madre, sgobba duramente pur di mantenersi, addentrandosi
sempre più nelle viscere rigurgitanti della Capitale. Pasolini dalla vetta di
Monteverde diventa, o meglio, si appresta a divenire, come avrebbe cantato Domenico
Modugno in Uccellacci e uccellini: “l’assurdo,
l’umano, il matto, il dolce” Pasolini. Parole destinate, in verità,
all’interpretazione filmica del grande Totò, trafugate tra le note di Ennio
Morricone, eppure aderenti all’anima dell’uomo nato a Bologna il 5 marzo del
1922, allevato in Friuli, giustiziato a Ostia il 2 novembre del 1975. (...)
 
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