L’analisi
del concetto di odio è un’impresa in cui si sono cimentati studiosi di molte
discipline, rivelatasi talmente ardua che neppure in specifici ambiti
disciplinari sembra possibile riscontrare una definizione univoca della natura
dell’“odio” ampiamente accettata. Fino al punto che il concetto stesso resta
sfuggente, ambiguo, difficilmente incasellabile in rigidi contenitori
interpretativi che appaiano esaustivi e soddisfacenti. L’odio è descritto
da neuroscienziati, psicologi sociali, scienziati sociali ora come un’emozione,
ora come un sentimento, ora come una passione, spesso attraverso il riferimento
a modelli di funzionamento della mente umana che sono in continua
ridefinizione, al punto che è piuttosto difficile averne una effettiva
conoscenza aggiornata. Il risultato è che, spesso, lo stesso termine è
utilizzato per indicare fenomeni e realtà profondamente diverse. Agli
interrogativi sul come e perché l’odio nasca, in quali forme si manifesti più
frequentemente, a quali comportamenti e azioni possa condurre e quali possano
essere i modi per contrastarlo si è risposto in modo altrettanto diversificato,
anche a seconda della prospettiva, riconducibile allo specifico ambito
disciplinare dal quale si guarda al problema. Nell’accostarsi
allo “studio” dell’odio nella storia, o – meglio – in specifici contesti
storici, si avverte il profondo disagio che nasce nel momento in cui si assume
consapevolezza dell’impossibilità di costruire un’interpretazione senza fare i
conti con gli incombenti spettri dell’approssimazione e della superficialità,
che spesso vanno a braccetto con la presunzione di poter ricondurre la
complessità della realtà a spiegazioni univoche, esaustive e, soprattutto,
definitive. Se la pretesa di
individuare una puntuale definizione dell’odio come categoria storiografica
rischia di generare problemi di difficile risoluzione, si può allora scegliere
di metterla da parte e procedere diversamente, analizzando concreti processi
storici che implicano idee e comportamenti ritenuti in qualche modo connessi o
riconducibili a fenomeni di odio. A questo fine, si possono prendere in
considerazione, in modo flessibile e mantenendo un approccio critico,
definizioni formulate in altri ambiti disciplinari, che offrono chiavi di
lettura stimolanti; per questa via, si può puntare all’individuazione di un
concetto, non rigido, di odio, costruito per approssimazioni successive
attraverso lo studio di specifici casi storici. Una soluzione per
aggirare il disagio, ammesso che ci si riesca, potrebbe essere anche quella di
partire dalla considerazione che, dal punto di vista storiografico, ad
interessare non dovrebbe essere tanto una definizione della natura dell’odio
fondata su modelli generali in grado di spiegare fenomeni tanto articolati
quanto sfuggenti, finendo per rimandare a concetti e univoci. Elemento portante
di analisi di tipo storiografico dovrebbero essere allora non tanto la
negazione, quanto piuttosto la messa in discussione dell’idea di
“ineluttabilità dell’odio”, quale elemento proprio, innato, della natura umana,
nella convinzione che tanto il sentimento dell’odio, quanto i comportamenti che
ad esso sono in parte riconducibili, costituiscano comunque il risultato di
dinamiche concrete e quindi in una certa misura specificamente individuabili e
ricostruibili. (...)(dall'introduzione di Laura Fotia)
L’analisi
del concetto di odio è un’impresa in cui si sono cimentati studiosi di molte
discipline, rivelatasi talmente ardua che neppure in specifici ambiti
disciplinari sembra possibile riscontrare una definizione univoca della natura
dell’“odio” ampiamente accettata. Fino al punto che il concetto stesso resta
sfuggente, ambiguo, difficilmente incasellabile in rigidi contenitori
interpretativi che appaiano esaustivi e soddisfacenti. L’odio è descritto
da neuroscienziati, psicologi sociali, scienziati sociali ora come un’emozione,
ora come un sentimento, ora come una passione, spesso attraverso il riferimento
a modelli di funzionamento della mente umana che sono in continua
ridefinizione, al punto che è piuttosto difficile averne una effettiva
conoscenza aggiornata. Il risultato è che, spesso, lo stesso termine è
utilizzato per indicare fenomeni e realtà profondamente diverse. Agli
interrogativi sul come e perché l’odio nasca, in quali forme si manifesti più
frequentemente, a quali comportamenti e azioni possa condurre e quali possano
essere i modi per contrastarlo si è risposto in modo altrettanto diversificato,
anche a seconda della prospettiva, riconducibile allo specifico ambito
disciplinare dal quale si guarda al problema. Nell’accostarsi
allo “studio” dell’odio nella storia, o – meglio – in specifici contesti
storici, si avverte il profondo disagio che nasce nel momento in cui si assume
consapevolezza dell’impossibilità di costruire un’interpretazione senza fare i
conti con gli incombenti spettri dell’approssimazione e della superficialità,
che spesso vanno a braccetto con la presunzione di poter ricondurre la
complessità della realtà a spiegazioni univoche, esaustive e, soprattutto,
definitive. Se la pretesa di
individuare una puntuale definizione dell’odio come categoria storiografica
rischia di generare problemi di difficile risoluzione, si può allora scegliere
di metterla da parte e procedere diversamente, analizzando concreti processi
storici che implicano idee e comportamenti ritenuti in qualche modo connessi o
riconducibili a fenomeni di odio. A questo fine, si possono prendere in
considerazione, in modo flessibile e mantenendo un approccio critico,
definizioni formulate in altri ambiti disciplinari, che offrono chiavi di
lettura stimolanti; per questa via, si può puntare all’individuazione di un
concetto, non rigido, di odio, costruito per approssimazioni successive
attraverso lo studio di specifici casi storici. Una soluzione per
aggirare il disagio, ammesso che ci si riesca, potrebbe essere anche quella di
partire dalla considerazione che, dal punto di vista storiografico, ad
interessare non dovrebbe essere tanto una definizione della natura dell’odio
fondata su modelli generali in grado di spiegare fenomeni tanto articolati
quanto sfuggenti, finendo per rimandare a concetti e univoci. Elemento portante
di analisi di tipo storiografico dovrebbero essere allora non tanto la
negazione, quanto piuttosto la messa in discussione dell’idea di
“ineluttabilità dell’odio”, quale elemento proprio, innato, della natura umana,
nella convinzione che tanto il sentimento dell’odio, quanto i comportamenti che
ad esso sono in parte riconducibili, costituiscano comunque il risultato di
dinamiche concrete e quindi in una certa misura specificamente individuabili e
ricostruibili. (...)
(dall'introduzione di Laura Fotia)
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