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mercoledì 10 novembre 2010

COSì GARCIA LORCA SVELA IL SEGRETO DELL'ESTASI DELL'ARTE

Il “duende” si esprime nelle figure del bambino, del folle, del poeta attraverso l’emozione, l’ispirazione, la rilevazione, la vertigine, il carisma.
(Articolo di Errico Passaro tratto da Il Secolo d’Italia del 10 novembre 2010)

Federico García Lorca è universalmente conosciuto per il suo luminoso talento di poeta. Meno noti sono i suoi qualificati interessi musicologici, rivelati dalla raccolta di conferenze Sotto altre lune e altri venti (Nova Delphi, pag. 230, euro 10), curata da Maria Cristina Assumma. Il risultato più notevole che emerge da queste pagine è la teorizzazione del cosiddetto “duende”. “Il duende – dice l’Assumma nella sua introduzione – indica l’emozione che presiede alla creazione artistica… uno stato ineffabile, difficile da spiegare oltre che da provocare, tale da richiedere un’elencazione di sinonimi: emozione, ispirazione, rivelazione, illuminazione, incanto, malia, estasi, fascino, carisma, aura, eccitazione, vertigine… intensità sensoriale…”. Sembra di cogliere in queste parole le risonanze di un romanticismo titanico, in cui l’artista è investito da una forza divina che ne fa strumento di energie superiori e porta alla nascita di creazioni di bellezza immortale. Il “duende” – ci dice Lorca, ben raffigurato nel ritratto di Anna Emilia Falcone – trova il suo interprete nel gitano del “cante jondo”, ma, fuor da quella incarnazione localizzata nel tempo e nello spazio, si esprime nelle figure del bambino, del folle, del poeta. L’artista del “duende” è come il fanciullino pascoliano, “un bambino, che vive in una dimensione di prealfabetismo e non ha ancora il seme della ragione distruttrice, sicché comprende meglio dell’adulto la chiave ineffabile della sostanza poetica, scoprendo tra le cose risonanze inedite con la gioia di non doverle analizzare… come quelli del bambino, gli occhi dell’idiota e del folle vedono le cose in modo non soggetto a istanze normative e razionalistiche”. Da qui il successo arriso ad artisti temperamentali e dalle biografie sismiche come - sono solo due esempi tra i tanti che potrebbero essere fatti – Campana e Ligabue. Il “duende” è munito del potere di fecondazione artistica. Esso nasce da una temperie emotiva, non dalla fredda applicazione di tecnicismi accademici: “L’allegria non ha mai prodotto un’opera geniale, viceversa il dolore è la scaturigine di quell’urto emozionale che è il duende”. Esso è apparentato con i rituali dionisiaci della santeria cubana. L’artefice ispirato non ignora i precetti dell’arte, ma semmai ne sa di più e ne ha un’idea più alta degli artefici ordinari. Ciò vale per la musica, ma anche per la poesia, per la narrativa e – perché no? – oggigiorno per il cinema, il fumetto, la computer-grafica ed ogni altra forma di arte moderna. Se lo diciamo, è proprio perché nei tempi odierni “l’ispirazione è soppiantata dalla tecnica, l’intensità dal virtuosismo, l’improvvisazione dalla codificazione, l’unicità dalla ripetibilità”. Parole impressionanti, profetiche, che annunciano l’avvento della cultura di consumo, delle opere-fotocopia, del conformismo intellettuale. Il “duende” fa da spartiacque fra la dimensione del rito e quella dello spettacolo: sul piano della funzione, il rito è espressivo, comunitario, identitario, mentre la funzione dello spettacolo è commerciale, estetica, ricreativa: nel rito, l’artista è un medium che si rivolge a pochi iniziati secondo un codice condiviso; mentre nello spettacolo è un professionista che si rapporta a un pubblico anonimo tramite un codice non condiviso. Il “duende” è, altresì, gesto di ribellione contro le convenzioni della società. È la forza che sta dietro ogni moto libertario, dietro ogni anelito di vita, dietro ogni effervescenza della fantasia. Il “duende” si pone, infine, al confine fra tradizione e innovazione… la tradizione eterna e universale, la tradizione non morta, ma vivente, tra cui si può far rientrare appunto la canzone popolare d’ogni tempo e luogo, che “è il grido delle generazioni morte, l’acuta elegia dei secoli scomparsi, è la patetica evocazione dell’amore sotto altre lune e altri venti”.

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