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martedì 14 giugno 2011

STORIA DI BRESCI, L'OPERAIO ANARCHICO UCCISORE DI RE

Articolo di Francesco Romanetti tratto da Il Mattino del 14 giugno 2011.


Furono tre - o forse quattro, come qualcuno sostenne - i colpi di pistola che la sera del 29 luglio del 1900 echeggiarono nel Parco Reale di Monza. Erano le 22,35 e Umberto I si accasciò con un’espressione stupita. Due dei proiettili lo avevano colpito al petto, trapassandogli un polmone. «È morto il Re Buono», scrissero quasi tutti i giornali. «È morto il Re Mitraglia», ricordarono fogli e volantini di gruppi anarchici, socialisti rivoluzionari e associazioni operaie. L’uomo alto, belloccio, capelli e baffi scuri, occhi nerissimi, detto «il damerino», che aveva fatto fuoco, lo presero subito. Così rivendicò il suo gesto: «Non ho ucciso Umberto, ho ucciso un re, ho ucciso un principio». Gaetano Bresci. Tessitore, anarchico e uccisore di re (Nova Delphi, pagg. 236, euro 10), è il titolo del libro scritto da Massimo Ortalli (prefazione di Ascanio Celestini) che traccia il profilo dell’anarchico tornato dall’America, dove era emigrato da Prato, per «uccidere un principio». Sullo sfondo del regicidio c’è l’Italia di allora, l’Italia di Crispi, reazionaria e colonialista, l’Italia del generale Bava Beccaris, che nel 1898 a Milano aveva fatto sparare con i cannoni, massacrando un centinaio di dimostranti. A Bava Beccaris fu proprio Umberto I che volle appuntare sul petto una medaglia «per il grande servizio reso alle istituzioni e alla civiltà». L’attentato di Bresci scosse quell’Italia. Dividendola, e forse affrettando - sostiene l’autore - processi di ridefinizione politica e nei rapporti di classe. Lo stesso movimento anarchico si spaccò. La maggior parte dei leader dell’anarchismo in esilio approvarono il regicidio, dal più tiepido Errico Malatesta ad un entusiasta Amilcare Cipriani. Ma tutt’altre reazioni ci furono in patria. Qui la condanna dell’iniziativa personale di Bresci fu dura ed inequivoca, a partire da quella della Federazione socialista-anarchica di Roma. Da lì cominciò, nota Ortalli, il declino della strategia dell’attentato individuale, della «propaganda con i fatti», per cedere il posto all’anarchismo organizzato. Ma la tesi di fondo del libro è più estensiva: riguarda tutto il movimento operaio e, più in là ancora, tutto l’assetto politico dell’Italia di inizio secolo. L’uccisione di Umberto, sostiene l’autore, accelerò processi di «normalizzazione», con la scelta riformista del partito socialista e con l’entrata a pieno titolo dei rappresentanti del mondo del lavoro nel parlamento e nelle istituzioni. Il blocco monarchico-borghese rinunciò alla mera repressione e prese atto dei mutati rapporti di forza sociali e politici. Cominciò l’età giolittiana. Un’altra storia. Bresci, «suicidato» in cella, e Umberto ormai sepolto, appartenevano già al passato.


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