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lunedì 7 maggio 2012

IL VENDICATORE VENUTO DALL'AMERICA

Articolo di Ermanno Gallo tratto da LE MONDE diplomatique di aprile 2012

Il tradimento consumato dagli ex-rivoluzionari, ex-repubblicani, nei confronti dei giovani, libertari, antagonisti appare chiaro: da quando – come scrive nella presentazione Ascanio Celestini -, a metà Ottocento, ai vecchi rivoluzionari diventati funzionari e parlamentari “si rivolgono gli internazionalisti della banda del Matese. Vogliono un processo politico e cercano negli ex rivoluzionari una sponda. Invece verranno processati come cospiratori”. Maggio 1900: è l’alba acida  di un nuovo secolo, quando Gaetano Bresci, tessitore anarchico, trasferitosi a Paterson, come altri connazionali italiani, chiamati “i cinesi d’Europa” per la loro produttività e indigenza, “si congeda dalla fabbrica di Hamil and Booth”. Molto diverso dalle tavole fisiognomiche di Lombroso, sui “criminali politici”. Gaetano è “un bel ragazzo, ricercato ed elegante, dedito alle frequentazioni femminili (…) con la passione per la fotografia”. Paterson era un crogiolo di istanze libertarie, di accesi dibattiti rivoluzionari, posti tra due epoche. Pisacane, Cafiero, Malatesta, Acciarito, Passanante sono icone di imprese utopistiche. Lontane. Fallimentari e “romantiche”. La recente borghesia liberale, con Crispi, già sovversivo, oggi “potenziale carnefice”, adula lo scettro unitario con famelico opportunismo, e si immerge nel colonialismo senza scrupoli. Per un “illustre conservatore quale Benedetto Croce”, recita il testo, “l’uccisione del Savoia è la conclusione della lotta fra reazionari e liberali”.  In Italia come all’estero si diffonde macabra l’eco del massacro perpetrato dal generale Bava Beccaris nel 1898, durante la “protesta della fame”. Cento morti, innumerevoli feriti, fra le cannonate scrosciano gli applausi della borghesia meneghina: “sterminateli tutti”. Dopo la macelleria l’encomio solenne, di Stato, decretato da Umberto, il “re mitraglia”, e da Crispi, ministro che vuole tramutare “i cittadini in sudditi”. Il popolo è infilzato sulle baionette, i generali sanguinari sono immedagliati come in un quadro di Baj… “L’anarchico che venne dall’America” si muove in questo scenario etico. Riesce a giustiziare Umberto I, che Giovanni Passanante (1849-1910), militante della “Repubblica Universale”, nel 1878 aveva appena scalfito. Dopo lo spettacolare attentato, a Monza, il 29 luglio 1900, Bresci rivendica: “Non ho ucciso Umberto, ho ucciso un re, ho ucciso un principio!”. Il primo “mistero” dell’attentato politico riguarda come e perché il giovane libertario ha potuto affrontare, apparentemente solo, una tale impresa. Secondo testi “monumentali” citati da Ortalli (Giampiero Berti: Errico  Malatesta; e soprattutto Giuseppe Galzerano: Gaetano Bresci), esisteva intorno all’anarchico, al suo “gesto vendicatore”, una rete di solidarietà fattiva. Molti gli arrestati, e gli indiziati. In particolare Luigi Granotti “il biondino”, sfuggito alle maglie della polizia (Quanti colpi hanno abbattuto il re: tre o quattro? Chi era il secondo tiratore?). Ma è soprattutto l’enorme consenso che l’attentato raccoglie in ambienti disparati, a stupire tuttora il lettore. A parte le voci del tempo: da Amilcare Cipriani a Filippo Turati, dalla difesa di Saverio Merlino a Errico Malatesta, si arrivò a scrivere che l’”omicidio politico non è un delitto” (Bofferio). Persino il “Corriere della Sera”  (8-9 agosto 1900) ammise: “La storia sacra ci fornisce persino l’esempio di una glorificazione, coll’episodio di Giuditta e Oloferne”. Ecco il secondo “mistero” dell’affaire. Come e perché Bresci morì in carcere, dietro le sbarre “riformate” dal ministro Zanardelli (1890). Scriveva Amilcare Cipriani: “La morte o la pazzia non vi era altra uscita (…) I carcerieri della monarchia si comportano verso i prigionieri, abbandonati alla loro brutalità in maniera così feroce, crudele e barbaro (…) Perché le loro vittime debbono subire, una lunga tortura”. Tuttavia nel pomeriggio del 22 maggio 1901, Bresci, che non aveva alcuna intenzione di suicidarsi, penzola dall’unica sbarra della finestra della cella, appeso a uno sfilacciato asciugamano. “Un’esecuzione politica contro lo stato diventa un omicidio politico di stato, che getta altre luci sinistre sul percorso del cosiddetto cento cinquantenario italiano”. Commenta Celestini, con amaro ottimismo: “Mi piace pensare che Bresci abbia voluto dare il suo contributo a una lunga rivoluzione sognata dai ragazzini e tradita dai vecchi”.

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