Tina Modotti ritratta da Edward Weston |
Caro Edward,
il posto in cui mi trovo è una strana combinazione tra un carcere e un ospedale – una grande sala con molti letti vuoti e sfatti, che mi danno la strana sensazione che prima ci fossero dei cadaveri – finestre con le sbarre e una porta sempre chiusa. La cosa peggiore di questa inattività forzata è non sapere cosa fare con il tempo; leggo-scrivo-fumo, vedo attraverso la finestra un prato americano pulitissimo e perfetto, con un’asta al centro, e sulla sommità sventola una bandiera a stelle e strisce – visione che, se non fossi una ribelle incurabile, dovrebbe ricordarmi costantemente l’impero “della legge e dell’ordine” e altri confortanti pensieri di questo tipo.
I giornali mi hanno seguita e a volte – con un accanimento da lupi – mi hanno preceduta. Qui negli Stati Uniti tutto è visto con il criterio della “bellezza” – un grande quotidiano ha parlato del mio viaggio e mi ha definita “una donna dalla notevole bellezza” –; altri giornalisti ai quali mi sono rifiutata di rispondere hanno provato a convincermi dicendo che avrebbero raccontato solo “quanto ero bella”, al che ho risposto che non capivo cosa c’entrasse il fatto di essere bella con il movimento rivoluzionario o con l’espulsione dei comunisti. Evidentemente valutano le donne con lo stesso metro delle star del cinema.
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