I rapporti tra Italia e
Argentina sono di lunga durata e hanno raggiunto momenti di alta intensità a
partire dalla seconda metà del XIX secolo con l’emigrazione di massa, le cui
culture regionali hanno influenzato, non senza conflitti, usi, costumi, tradizioni,
lingua, nonché l’evoluzione sociale, economica e politica della realtà
argentina. Di questi rapporti in Italia hanno dato soprattutto conto la
saggistica e gli studi sulle migrazioni che ne hanno analizzato anche le influenze
in ambito letterario.
Ma negli ultimi venti anni, la
cultura italiana ha manifestato un nuovo interesse per la realtà argentina
riportando in primo piano un dialogo ricco di avvenimenti, figure, simboli,
finzioni e idee tra i due paesi. Le cause sono molteplici e tutte extraletterarie:
la discussione politica sul voto degli italiani all’estero; la crisi economica
argentina esplosa alla fine del 2001, che ha determinato un’emigrazione di
ritorno dei discendenti di italiani; la scomparsa, durante l’ultima dittatura
argentina (1976-1983), di uomini e donne di origine italiana e la celebrazione
nella nostra penisola, ancor prima dell’abolizione delle leggi argentine
sull’indulto (2003), di processi giudiziari contro i militari. Ultima e più
recente causa, che non va ignorata, la salita al soglio pontificio di un Papa
argentino e discendente di italiani.
Questo rinnovato dialogo, senza tralasciare
il tema migratorio che evidentemente fa da ponte tra i due paesi, ha acquisito
un nuovo stimolo per la cultura italiana che si trova ora impegnata a
rappresentare il periodo argentino del terrorismo di stato e quello iniziato
con il ritorno alla democrazia. A quaranta anni dal colpo di stato, avvenuto il
24 marzo 1976, questo volume intende dare conto del contemporaneo immaginario
italiano sull’Argentina relativamente agli anni della dittatura e della
post-dittatura, verificandone, le ragioni, gli usi ed eventuali ri-creazioni o
riletture di immagini e stereotipi.
Se a farla da padrone è la
narrativa italiana più recente, con saggi dedicati al fenomeno letterario in
ottica testimoniale (Emilia Perassi); ad autori specifici (Laura Scarabelli su
Laura Pariani); a una musica e danza di successo inserita nel plot dei romanzi (Camilla Cattarulla sul
tango), pure non mancano contributi che affrontano altre modalità artistiche in
relazione alla dittatura, come la fiction
televisiva (Ilaria Magnani su Il ricordo
e la memoria e Tango per la libertà);
la docufiction (Rosa Maria Grillo sul
lungometraggio Nora, storia del
ritorno in Argentina dalla Calabria, dove si era esiliata, di Nora Strejilevich, ex-prigioniera
politica); e l’arte figurativa (Antonella Cancellier su Marcello Gentili,
avvocato penalista impegnato nei processi italiani sui desaparecidos). La produzione artistica italiana si
inserisce nel dibattito sulla memoria della nazione, la storia recente e la
difesa dei diritti umani che ha caratterizzato la realtà argentina
post-dittatura, coinvolgendo accademici,
scrittori, politici, storici, sopravvissuti ai centri di detenzione, famigliari
di desaparecidos, organizzazioni per
i diritti umani ed esiliati. E si inserisce anche nella discussione sulla
figura del testimone, già collocato dagli studi sulla biopolitica di
Giorgio Agamben e Roberto Esposito in una posizione di “soglia”, e che
l’immaginario può restituire attraverso quei simulacri del reale che le sono
propri. In questo senso, all’interno del volume, il saggio d’apertura di Emilia
Perassi fa da filo conduttore metodologico per tutti gli altri – pur con gli
approcci diversi che li contraddistinguono –, proponendo l’istituzione di una
nuova pratica testimoniale che definisce “testimonianza ricreata”, ovvero un
“tassello ulteriore di una memoria collettiva definitivamente transnazionale e
deterritorializzata, istallata nella topografia immateriale del ricordo” Nel “ricreare” una testimonianza
relativa alla dittatura e alla post-dittatura argentina, la produzione
artistica italiana qui presentata mantiene il legame con il paese sudamericano
attraverso le vicende raccontate, i loro personaggi o situazioni autobiografiche
proprie degli autori. Allo stesso tempo, presenta una mitologia che poco si
discosta dall’immaginario consolidato e sulla dittatura e sugli aspetti
culturali argentini. Appartengono al primo caso: la pratica del sequestro degli
oppositori al regime con tutto ciò che ne consegue (detenzione, tortura, desaparición), i figli “appropriati”, la
ricerca di scomparsi e nipoti da parte dei famigliari, l’esilio e il ritorno.
Nel secondo caso, rientrano invece il tango, la Patagonia, la pampa, l’asado, il mate, i ghiacciai: una serie di “icone turistico-culturali” allo
scopo, forse, di contribuire alla conoscenza dell’Argentina in Italia. Non va
dimenticato, poi, che dietro questa produzione artistica che, come si potrà
notare leggendo il volume, negli ultimi anni sta diventando un “piccolo
fenomeno culturale”, ci sono letture sull’Argentina e sul periodo del
terrorismo di stato che appartengono più all’ambito saggistico, prodotte da
storici, sociologi o giornalisti. Fra le tante, pubblicate nell’arco degli ultimi
quindici anni, voglio ricordare un testo più volte citato all’interno di questo
volume: Affari nostri. Diritti umani e
rapporti Italia-Argentina 1976-1983 (2012), curato da Claudio Tognonato,
che ci offre un quadro delle relazioni culturali, politiche, economiche e
commerciali fra Italia e Argentina, svelandone fatti, silenzi e complicità. E
poi ci sono, come già accennato, le vicende autobiografiche degli autori presi
in esame, come ad esempio quelle di Massimo Carlotto, che scopre di essere
cugino di Laura Carlotto, figlia desaparecida
de María Estela de Carlotto, Presidente delle Abuelas di Plaza de Mayo; o
quelle di Marcello Gentili, avvocato penalista che ha dedicato molta della sua
attività giuridica a patrocinare i famigliari degli scomparsi nei processi
italiani contro i militari. E autobiografico è anche, in chiusura di questo
volume, il contributo di Adrián Bravi, scrittore argentino di origini italiane,
che vive da oltre vent’anni a Recanati e pubblica prevalentemente in italiano. Nell’affrontare
il tema della lingua come difesa, Bravi delinea un breve ritratto di Adelaida
Gigli, madre di due figli desaparecidos,
poi esiliatasi a Recanati, dove era nata. Il passaggio da una lingua all’altra
ha caratterizzato la vita di Bravi e di Gigli e permette di modificare la
propria relazione con il paese d’origine perché “può diventare una difesa nei
confronti del passato, può dimenticarlo o manipolarlo, ma può anche essere uno
stratagemma (più o meno consapevole) per mantenere un legame stretto con la
propria infanzia” e, forse, dar vita a nuovi immaginari che coinvolgono il
paese d’origine e quello d’adozione.
(introduzione al volume di Camilla Cattarulla)
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