L'autore Enzo Di Brango con il suo nuovo libro |
“Quando c’era lui i treni
arrivavano in orario!” Quante volte abbiamo ascoltato questo adagio
nazionalpopolare coniato per incensare la figura dell’uomo che ha determinato
le sorti di un intero popolo per venti lunghi anni nella prima metà del secolo
scorso? Le persone con un minimo di buonsenso sono perfettamente consce che non
è dalla puntualità dei treni che si può giudicare l’efficienza dei governi e la
corrispondenza delle loro azioni alla volontà popolare.
Come non sono validi strumenti
di misurazione della qualità della vita il PIL, lo spread o altre diavolerie di
cui sentiamo incessante il martellamento nelle orecchie ogni volta che si prova
ad ascoltare un telegiornale. Almeno nei periodi nei quali le leve di comando
sono nelle mani di soggetti non graditi all’establishment che sta tentando di
ingabbiare il mondo.
Fortunatamente del fascismo, del
suo delirio e del catastrofico epilogo della sua vicenda, molto si è detto, ma,
forse, non è stato sufficiente se è vero, come è vero, che da più parti cresce
un insulso e sciagurato rimpianto per la “regolarità del traffico ferroviario”.
Questo romanzo vuole raccontare
la quotidianità italica degli anni trenta, quando non erano molti i cittadini
che si servivano del treno e ancor meno erano quelli che facevano attenzione
alla puntualità: spesso non potevano permettersi nemmeno un orologio. Siamo
nella Roma fascista, tra il 1932 e il 1934, quando tre improvvisati attentatori
fanno esplodere un ordigno di modeste dimensioni nel pronao della basilica di
San Pietro. Il regime si era già consolidato al potere, abolendo i partiti
concorrenti, impossessandosi di tutte le sedi di potere ufficiali, occupando
militarmente la stampa, ridotta a grancassa del duce e dei suoi accoliti.
Quella che era stata una politica di reazione al Biennio rosso, una politica
modellata ad arte sulle pur coerenti recriminazioni dei reduci ai quali si
offriva come panacea di tutti i mali un nazionalismo estremista, aveva avuto la
meglio sui diritti e sulle libertà collettive.
Sembra di rivivere quei primi
tempi, a distanza di appena un secolo. Al nazionalismo classico è stato
assegnato un neolemma moderno: sovranismo; lo squadrismo verbale è ritornato in
auge nei talk show, lo squadrismo fisico è esercitato quotidianamente contro
migranti e altri diseredati, senza escludere l’universo femminile sempre più
ricacciato nel ruolo di complementarietà dell’uomo, pena la soppressione fisica
se solo prova a rivendicare il diritto a esistere in termini
autodeterminanti.
L’evento descritto in questo
libro (cfr. Fra le righe, carteggio fra Carlo Rosselli e Gaetano Salvemini, a
cura di Elisa Signori, Franco Angeli, Milano 2009, pp. 301 e ss.) è stato
ricostruito basandosi sulle deduzioni che Gaetano Salvemini formula dopo aver
ricevuto notizia del suo coinvolgimento, ossia che l’attentato, benché ideato
dagli esecutori, sia stato, in qualche modo, incoraggiato dai vertici del
fascismo e congegnato dalla Polizia politica con il supporto dei fiduciari e
dei confidenti, soprattutto quelli operanti a Parigi. Partendo dalle predette
deduzioni, i personaggi che nel romanzo agiscono a Roma, per quanto riguarda i
vertici della Polizia, sono quelli effettivamente in servizio all’epoca dei
fatti; così come gli agenti dell’Ovra operanti a Parigi sono stati, anche se è
stato impossibile individuarli direttamente dalla documentazione consultata,
selezionati dall’elenco ufficiale consultabile nel volume di Mauro Canali Le
spie del regime (il Mulino, Bologna 2004). Per la ricostruzione storica, tra i
vari volumi consultati, ritengo doveroso citare, oltre al prezioso testo del
professor Canali, quello di Mimmo Franzinelli: I tentacoli dell’Ovra (Bollati
Boringhieri, Torino 1999). Pur basandosi sulle fonti raccolte all’Archivio
Centrale dello Stato e su numerosi testi, tra i quali quelli già citati, il
racconto non può essere considerato una ricostruzione ufficiale, né può aggiungere
ulteriori elementi ai fatti così come già si conoscono.
Per le ricerche d’archivio, un
grazie riconoscente al personale dell’Archivio Centrale dello Stato,
dell’Emeroteca della Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea e all’amico e
sodale Valentino Romano che, disinteressatamente e con totale disponibilità, mi
ha facilitato il compito di ricerca, consultando con me i documenti disponibili
nei vari fondi di riferimento.
Un grazie di cuore alla
professoressa Francesca Lardaruccio, prima lettrice delle bozze e generosa
dispensatrice di suggerimenti.
Last but no least, ringrazio
l’editore che, pur trovandosi di fronte a una storia minore, di quelle che
stentano a imporsi a un interesse di massa, ha dato modo alle mie fatiche di
concretarsi in questo volume, dibattendone anticipatamente gli aspetti
editoriali e le intenzioni (queste sì migliori!) comunicative. Credo di aver
scritto in chiave antifascista, non per contrapposizione ma per narrazione,
valutando molteplici aspetti e non “l’orario dei treni”, conscio che il tema,
l’antifascismo appunto, non possa essere considerato un valore sorpassato, un
orpello da eliminare. L’amore, la convivialità, il lavoro e ogni altro aspetto
presente nel romanzo, richiamano l’attenzione alla vigilanza antifascista per ammonirci
che, andando avanti di questo passo, corriamo il serio rischio di ritrovarci
nelle medesime, sciagurate condizioni.
Enzo Di Brango
Enzo Di Brango
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