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lunedì 5 novembre 2018

"Emigrante per diletto" torna in libreria

Torna in libreria la cronaca del viaggio che lo scrittore R.L. Stevenson intraprese nel 1879 per raggiungere in California la sua amata Fanny Van de Grift. Il testo mancava dagli scaffali italiani ormai da decenni e comprende due scritti distinti: The Amateur Emigrant (il viaggio in nave) e Across the Plain (il viaggio in treno). La traduzione è di Teresa Bertuzzi. Vi presentiamo in anteprima un breve estratto:

(...) Mentre camminavo sul ponte e volgevo intorno lo sguardo sui miei compagni di viaggio, così curiosamente assortiti da tutto il Nord Europa, cominciai per la prima volta a comprendere la natura della migrazione. Giorno dopo giorno, durante la traversata e da lì attraverso tutti gli Stati Uniti fino alle coste del Pacifico, questa cognizione divenne più chiara e triste. L’emigrazione, che prima per me aveva una più allegra connotazione, arrivò a suonare estremamente tetra alle mie orecchie. Non c’è niente di più piacevole da immaginare e niente di più patetico da guardare. L’idea astratta, così come concepita a casa, è piena di speranza e avventura. Immagini un giovane uomo che, sprezzante dei vincoli e dell’aiuto altrui, si lancia nella vita, questa grande battaglia, per combattere con le proprie mani. Le più piacevoli storie di ambizione, di difficoltà sormontate e di sommo successo non sono che episodi in questa grande epica di autonomia. L’epica è composta di eroismi individuali; sta a questi nello stesso rapporto in cui la guerra vittoriosa che soggioga un impero sta al personale atto di coraggio di chi ha fermato un unico cannone ed è stato giustamente ricompensato con una medaglia. Nel mondo dell’emigrazione i giovani passano direttamente dal carico della nave alla loro eredità di lavoro; come al fischio del nostromo, continenti vuoti si riempiono di mani industriose e interi nuovi imperi vengono addomesticati al servizio dell’uomo.
Questa è un’immagine fondata su delle supposizioni e, a un’indagine attenta, risulta costituita per lo più da infiorettature. Più osservavo i miei compagni di viaggio meno ero tentato di usare note liriche. Relativamente pochi degli uomini avevano meno di trent’anni; molti erano sposati e gravati dalle famiglie; non pochi erano già avanti con l’età; e già questo stonava con le mie fantasie, secondo le quali l’emigrante ideale dovrebbe certamente essere giovane. E ancora, pensavo che dovesse offrire allo sguardo un audace modello di umanità, con lineamenti spigolosi o l’aspetto di un falco e l’impronta di un’indole appassionata e prepotente. Ora, coloro che mi circondavano erano per la maggior parte cittadini tranquilli, ordinati e obbedienti, padri di famiglia distrutti dalle avversità, giovani attempati che non avevano trovato il loro posto nel mondo e gente che aveva visto giorni migliori. La mitezza era la caratteristica predominante; mite allegria e mite perseveranza. In una parola, non stavo prendendo parte a un impetuoso viaggio di conquista...

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