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venerdì 29 marzo 2019

Sogni rinascimentali e mostri moderni: le letture giovanili di Victor Frankenstein

Presentiamo l'incipit del testo di Cecilia Muratori tratto dal volume Villa Diodati Files. Il primo Frankenstein (1816-17).


Il destino di Victor Frankenstein è segnato dall’incontro giovanile con un autore: Heinrich Cornelius Agrippa (1486-1535). Prima dei suoi studi della moderna filosofia naturale all’università di Ingolstadt, e prima di mettere mano alla creazione del mostro, è nel filosofo rinascimentale Agrippa che Victor trova la descrizione di “fatti meravigliosi”, che stimolano la sua curiosità, e suscitano il suo entusiasmo verso le possibilità della filosofia naturale.[1] Victor Frankenstein racconta che l’incontro con Agrippa fu fortuito: confinato in una locanda a causa del maltempo durante una vacanza in una località termale, Victor si ritrova a sfogliare un libro di Agrippa, dapprima con apatia, poi con entusiasmo. Shelley non rivela il titolo del libro, ma è probabile che il riferimento implicito sia al famoso De occulta philosophia, pubblicato per la prima volta nel 1533, e poi riproposto in numerose nuove edizioni e traduzioni (compresa una traduzione in inglese – Three Books of Occult Philosophy – nel 1651). Testo enciclopedico controverso, citato sia nei manuali degli inquisitori, sia nella letteratura appartenente al filone esoterico, De occulta philosophia avrebbe offerto al giovane Victor una visione della natura come territorio attraversato da impulsi e forze sui quali è possibile intervenire per dirigerli e incanalarli. Nella prima versione di Frankenstein (1818), Shelley non dice esplicitamente che cosa abbia attratto l’attenzione di Victor nello scoprire questo testo, e parla genericamente della “teoria” che Agrippa vi propone. Nella versione del 1831, invece, diventa chiaro che è proprio il fascino per la teurgia – ovvero la possibilità di attrarre forze sovrannaturali e convogliarle a proprio vantaggio – che guida Victor nelle sue letture rinascimentali.[2]
Dopo aver letto il libro di Agrippa trovato casualmente nella locanda, Victor procede infatti alla lettura non solo di altre opere di Agrippa, ma anche di Paracelso e di Alberto Magno. Il racconto suggerisce che la transizione da Agrippa agli altri autori sia avvenuta senza soluzione di continuità, per una naturale prossimità tematica. Che queste letture giovanili svolgano un ruolo chiave nello sviluppo della storia di Victor Frankenstein è suggerito da un passo in cui Victor inizialmente si rammarica di aver fatto un cattivo uso della sua immaginazione infervorata dalla lettura di Agrippa, che avrebbe potuto applicare allo studio di una scienza moderna e più razionale, come la chimica.[3] Victor prosegue poi ammettendo che queste letture probabilmente alimentarono quell’“impulso fatale” per portò alla ideazione del mostro e alla rovina del suo creatore. Quello che Victor aveva tratto da Agrippa, Alberto Magno e Paracelso era quindi un sapere fantasioso, ma applicabile, forse non razionale quanto la scienza moderna, ma non meno efficace. Senza queste letture, in altre parole, è possibile che il mostro non sarebbe mai stato creato.




[1] M. Shelley, Frankenstein or The Modern Prometheus (1831 edition), a cura di S. Jansson, Wordsworth Classics, Ware 1999, p. 31; M. Shelley, Frankenstein or The Modern Prometheus (the 1818 Text), a cura di M. Butler, Oxford University Press, Oxford 2008, p. 22.
[2] Frankenstein (1818), p. 22. Frankenstein (1831), p. 31, e p. 33: “The raising of ghosts or devils was a promise liberally accorded by my favourite authors, the fulfilment of which I most eagerly sought; and if my incantations were always unsuccessful, I attributed the failure rather to my own inexperience and mistake than to a want of skill or fidelity in my instructors.”
[3] Frankenstein (1818), p. 23: “I should certainly have thrown Agrippa aside, and, with my imagination warmed as it was, should probably have applied myself to the more rational theory of chemistry which has resulted from modern discoveries. It is even possible, that the train of my ideas would never have received the fatal impulse that led to my ruin.” Cfr. Frankenstein (1831), p. 32.

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